Autori Italiani · INTERVISTE · Menù · Mondo dei Libri

Chiara Panzuti – Intervista all’autrice di “Absence”

Buongiorno amati lettori, spero stiate passando delle buone ferie – per chi può – e che vi stiate riposando…

Oggi finalmente pubblico l’intervista con l’adorabile Chiara Panzuti, la giovanissima autrice di Absence edito per LainYa, uscito pochi mesi fa di cui vi ho anche fatto una recensione più che positiva! Un romanzo sull’identità, i social, i rapporti reali e quelli apparenti, l’invisibilità, la paura di dimenticare e di essere dimenticati, di diventare completamente invisibili…

Vi avevo detto d’averla incontrata e per questo potevo confermare quanto l’autrice fosse dolce e calorosa e di come mi avesse fatta sentire immediatamente a mio agio, quindi non potevo approfittarne e porle le mie solite belle domandine, dalle generali alle più intime, insidiose e complicate!

Quindi, bando alle ciance, vi lascio alla scoperta di questa meritevolissima scrittrice – che ha pazientemente risposto in modo più che esaudiente a tutte le 20 domande, Santa Donna –  ricordandovi che se non l’aveste ancora fatto, di leggere Absence (che potete acquistare qui) assolutamente consigliato e di farmi sapere, come sempre, quello che pensate del libro, l’autrice e l’intervista. Vi aspetto, buona lettura!

TRAMA DEL LIBRO: Viviamo anche attraverso i Lain-YA_3D_Absence[1]ricordi degli altri. Lo sa bene Faith, che a sedici anni deve affrontare l’ennesimo trasloco insieme alla madre, in dolce attesa della sorellina. Ecco un ricordo che la ragazza custodirà per sempre. Ma cosa accadrebbe se, da un giorno all’altro, quel ricordo non esistesse più? E cosa accadrebbe se fosse Faith a sparire dai ricordi della madre?
La sua vita si trasforma in un incubo quando, all’improvviso, si rende conto di essere diventata invisibile. Nessuno riesce più a vederla, né si ricorda di lei. Non c’è spiegazione a quello che le è accaduto, solo totale smarrimento.
Eppure Faith non è invisibile a tutti. Un uomo vestito di nero detta le regole di un gioco insidioso, dove l’unico indizio che conta è nascosto all’interno di un biglietto: 0°13’07’’S 78° 30’35’’W, le coordinate per tornare a vedere.
Insieme a Jared, Scott e Christabel – come lei scomparsi dal mondo – la ragazza verrà coinvolta in un viaggio alla ricerca della propria identità, dove altri partecipanti faranno le loro mosse per sbarrarle la strada.
Una corsa contro il tempo che da Londra passerà per San Francisco de Quito, in Ecuador, per poi toccare la punta più estrema del Cile, e ancora oltre, verso i confini del mondo.
Primo volume della trilogia di Absence, Il gioco dei quattro porta alla luce la battaglia interiore più difficile dei nostri giorni: definire chi siamo in una società troppo distratta per accorgersi degli individui che la compongono.
Cosa resterebbe della nostra esistenza, se il mondo non fosse più in grado di vederci?
Quanto saremmo disposti a lottare, per affermare la nostra identità?
Un libro intenso e profondo; una sfida moderna per ridefinire noi stessi.
Una storia per essere visti. E per tornare a vedere.

A TU PER TU CON CHIARA PANZUTI – 20 DOMANDE PER CONOSCERLA

1) Sei un’autrice giovanissima, eppure già dalla tua d’infanzia a quella dei ragazzini d’oggi le cose sono incredibilmente mutate. Lo riconosci? 

Negli ultimi anni ci sono state evoluzioni incredibili, soprattutto per quanto riguarda la tecnologia, e questo ha sicuramente portato a uno “stacco” maggiore anche tra generazioni che di per sé sono vicine tra loro. È difficile stare al passo coi tempi, i cambiamenti sono sempre più veloci, e questo in qualche modo ha reso più difficile anche la comprensione il dialogo.

2) L’intervento dei social network è stato utile alla società o è diventato uno strumento d’isolamento?

A mio parere, come idea iniziale, i social network sono stati una grande invenzione. Uno strumento come Facebook è riuscito ad avvicinare persone di tutto il mondo, permettendo di conoscersi, ritrovarsi e rimanere in contatto. Inoltre resta un buon modo per aprire i propri orizzonti, conoscere realtà a noi più lontane. Ma è comunque uno strumento “virtuale”. Dalla sua nascita fino ad oggi, abbiamo permesso a questo strumento di sostituire la realtà, costruendo una nuova identità online, alla quale abbiamo delegato… tutto. Troppo. A questo “mondo al di là dello schermo” abbiamo affidato i nostri sentimenti, le nostre paure, la nostra voglia di riscatto, e sopra ogni cosa la nostra rabbia. Sono emozioni private, che meriterebbero di essere vissute e interiorizzate nella vita tutti i giorni, con le persone che ci conoscono e ci amano per quello che siamo, al di là di una foto, di un selfie o di uno status.

3) La realtà virtuale è un universo che interessa solo i ragazzi o sono coinvolti anche gli “adulti”? Perché spesso viene evidenziata come una questione prettamente legata alle new generations, come se chi è nato prima dell’intervento dei social ne fosse escluso.

Per quanto mi riguarda penso che coinvolga chiunque ormai. Giovani, adulti, nessuno escluso. Il social network ha una “forza attrattiva” per tutti noi, me compresa. Parlo di una “distrazione” proprio perché l’ho sperimentata sulla mia pelle. A volte puntiamo troppo il dito sulle nuove generazioni, quando in loro c’è ancora tanta anima e tanto cuore. La loro “apparenza” è semplicemente lo specchio di quello che noi siamo, di quello che noi trasmettiamo. Ma la sostanza è rimasta, va soltanto ritrovata.

4) Molte persone incontrano nuove conoscenze grazie ai social, queste relazioni quanto sono vere, quanto possono diventare profonde?

Mi è capitato di conoscere persone meravigliose grazie a un primo incontro sui social, e per questo ne riconosco anzitutto l’aspetto positivo. Penso però che la “profondità” si possa sperimentare solo quando questo primo incontro si sposta da un piano virtuale a uno reale. Si possono fare bellissime chiacchierate grazie ai social network (io amo mail e messaggi!), ma l’amicizia è qualcosa che si forma a 360 gradi, conoscendosi, passando del tempo insieme, e soprattutto litigando. Parlo di quei litigi veri, di persona, dove si vede la parte peggiore di qualcuno e si mostra la parte peggiore di se stessi. Parlo di giornate di convivenza “forzata”, dove ci si riscopre a litigare per uno spazzolino o un cassetto chiuso a metà. Questa totalità non potrà mai essere sostituita da un’amicizia virtuale. Ciò non significa che il social network possa rivelarsi un buon punto di partenza.

5) Un amico virtuale può sostituire un amico in carne e ossa?

Io non credo. Come dicevo nella risposta precedente, noi non potremo mai esprimere la nostra personalità con uno schermo come tramite. I momenti più intimi, più privati della vita di ognuno, si conoscono e si apprezzano con una conoscenza più approfondita, nella realtà. Questo non significa però che un’ “amicizia di penna” o di “Facebook” sia sbagliata. A volte alcune lontananze impediscono questi incontri, e scriversi resta comunque una gioia grandissima. Dico solo di non fermarsi davanti all’idea di andare oltre, di conoscersi per davvero, quando vi è l’opportunità.

6) è meglio rimanere nella realtà ma isolati o integrarsi in un gruppo social sulla rete?

Penso che in entrambi i casi la cosa importante sia l’equilibrio. È triste sentirsi isolati nel mondo reale, così come sentirsi “finti” in un gruppo in rete. Anzitutto bisogna trovare la propria identità, senza aiuti esterni. Capire chi si è e cosa si vuole diventare, e solo a quel punto capire chi si vuole accanto. Una frase che amo moltissimo cita: “quando l’allievo è pronto, il maestro compare”. Bisogna essere pronti anche per gli amici, anche per donare e ricevere amore. Nel momento in cui abbiamo un’identità che non appartiene alla rete, ma a noi stessi, al nostro cuore… non c’è solitudine che possa ferirci.

7) è stata un’esperienza personale che ti ha ispirato ad “Absence”?

L’invisibilità mi ha colpita spesso durante l’adolescenza. E penso che questo valga per gran parte degli adolescenti, è un periodo di transizione molto intimo e doloroso. Sono passati dieci lunghi anni prima di prendere nuovamente in esame questo tema. Ma ne avevo bisogno, ed è stato come chiudere un cerchio.

8) Hai sempre voluto scrivere e pubblicare o avevi altri progetti da piccola?

Il mio primo sogno era vendere mozzarelle al mercato. Ma questo perché da piccola amavo il mercato del sabato e amavo le mozzarelle. Ho sempre amato raccontare storie, e poi scriverle. Solo dopo vent’anni ho preso in considerazione l’idea di pubblicare. Inizialmente non era neppure un pensiero, l’unica esigenza era poter continuare a inventare… La pubblicazione, in parte, mi terrorizzava. Mi sentivo fragile e ancora adesso, in alcuni momenti, avverto la stessa fragilità.

9) In cosa porta a riflettere le storie di questi quattro ragazzi che diventano improvvisamente invisibili?

Vorrei porre l’attenzione sull’identità, per l’appunto. Se all’improvviso nessuno ci vedesse più, se non esistessero social, like, apprezzamenti… noi sapremmo ancora chi siamo? Sapremmo definirci e amarci lo stesso?

10) Perché una persona famosa, amata da tutti, circondata da amici, parenti, compagno/a e figli che l’adorano, popolarità e la miglior vita immaginabile può sentirsi comunque solo?

Perché a volte, quello che tutte queste persone vedono e conoscono, non è la verità. Gli esseri umani sanno portare maschere con grande maestria, ma spesso non lo fanno per cattiveria, solo per paura. Mostrarsi vuol dire affidare all’altro le parti più intime di noi, e se l’altro ci ferisce… fa male. Un male solido, da cui è difficile liberarsi. La non-conoscenza, d’altro canto, ci fa sentire soli, perché sappiamo che nessuno ci apprezza per quello che siamo davvero. Siamo invisibili.

11) C’è un modo per ritrovare sé stessi? Tu personalmente cosa fai quanto ti senti sola?

Di solito mi sfogo. Piango, principalmente. Piangere aiuta tantissimo, si possono passare minuti interi di infinita tristezza. È importante non aver paura di toccare il fondo e starci per un po’. Poi si tira su col naso, si mettono a fuoco le cose positive (perché ci sono… sempre. Mai dimenticarsene) e ci si rialza. Siamo forti, molto più forti di quello che pensiamo, ed è questa forza che deve… darci forza. Farci risalire.

12) Come si può affrontare una vita di solitudine? Una persona può davvero star bene da sola?

Penso che socializzare sia fondamentale. Si può star bene da soli per un giorno, un mese, una settimana. Ma è comunque importante conoscere gli altri, perché è bello conoscerne il pensiero, le diversità, i pregi e i difetti. Pensare, riflettere e interiorizzare è giusto, ma la pratica la si impara solo “sul campo”, in mezzo alla gente. E non solo per capire gli altri, ma anche per capire noi, con gli altri.

13) Perché è così importante ESSERCI per gli altri? Perché l’uomo sente il bisogno di avere approvazione, di avere importanza per qualcuno? Altrimenti non ci sentiremmo valorizzati? Non ci completiamo da soli?

È un serpente che si morde la coda. Temo che la paura principale sia essere esclusi, quindi rimanere soli e diventare invisibili. Da qui la “corsa all’approvazione”, al like, ai mille amici, all’accondiscendenza senza mai sfiorare la discussione o il litigio. Così facendo però modifichiamo il nostro vero Io, diamo un’immagine generica di noi, e quindi ci sentiamo comunque esclusi, restiamo comunque soli e diventiamo comunque… invisibili.
A questo servono gli amici veri. A questo serve la realtà. Per farci capire che in un rapporto sano la giornata storta, quella bella, il raffreddore o gli occhi impastati la mattina valgono più di ogni like del mondo.

14) Chi è stata la prima persona alla quale hai detto che avresti pubblicato “Absence” e come ha reagito?

Le prime persone in assoluto sono stati i miei genitori. Ho un rapporto meraviglioso con loro, e soprattutto loro mi hanno sempre sostenuta, anche quando ero invisibile, impaurita e non riuscivo a sentirmi realizzata in nulla. Erano felici… felici con me, che è molto più bello del “felici per me”. Loro, come alcuni amici, mi hanno insegnato quanto è importante saper essere “felici con gli altri”.

15) Un rapporto che si è rotto nel passato può ricostruirsi? Ti è successo?

Io penso di sì. A volte le crepe sono demonizzate. Molto dipende dai presupposti, certo, se le strade non si conciliano più è inutile insistere. Ma io credo nell’amicizia, negli sbagli e nel perdono. Ci sono momenti della vita in cui magari è più difficile capirsi, e altri in cui arriva il tempo di chiarirsi. Per esperienza personale però posso dire che una cosa è certa: bisogna volerlo in due. Se restano rancori sopiti, allora è tutto inutile. La rabbia sa essere una pessima consigliera.

16) Hai paura di diventare INVISIBILE?

Ho più paura di dimenticare. Dimenticare è un po’ come morire. Sono un po’ “Jared” in questo…

17) Come capisci se puoi fidarti di chi ti circonda?

Di solito non lo capisco. Non mi definisco una persona “col sesto senso” e tendo ad essere espansiva da subito. La fiducia è un genere di cosa che sperimento. Col tempo ho imparato a proteggermi, più che a difendermi. A piccoli passi, senza bisogno di chiudersi a riccio, si può capire se una persona è degna di fiducia o meno. Si possono anche distinguere gli errori brutti da quelli fatti in buona fede. La cosa importante è non aver paura di soffrire: la sofferenza è inevitabile, bisogna farsi male per capire che il fuoco scotta. E quel male, alla fine, se sappiamo proteggerci, non è mai “insuperabile”.

18) Come hai reagito a chi ti criticava per come sei o per quello che facevi/ volevi fare?

Per come sono fatta, mi intristisco sempre molto quando qualcuno mi “critica”. Parlo di quelle intromissioni che a volte arrivano da persone che neppure ti conoscono. A queste persone vorrei dire: ricordatevi che le parole fanno male. Che a me, come ad altri, fate male. E che nessuno dovrebbe nascondersi dietro alla giustificazione della “sincerità”. Siamo esseri umani, non gomma piuma, ciò che arriva, se non è detto nel modo giusto, può ferire. Ovviamente parlo di critiche personali, non di critiche costruttive che possono arrivare per altre cose. Bisognerebbe imparare a “camminare nelle scarpe altrui”, almeno per un po’. A volte siamo troppo affrettati nello scaricare giudizi. Riguardo le reazioni… non ha senso reagire, se queste critiche non presuppongono dialogo.

19) Cosa consiglieresti a chi si sente solo e sente di non contare per nessuno?

Consiglierei di andare in mezzo al verde. Prendere un bel respiro, e passare una giornata in solitudine. Pensare a chi si è, a cosa si ama, a cosa si cerca e a cosa si vuole. Pensare: io conto per me stesso? Bene. Siamo già in due, io e me stesso. Poi alzarsi, tornare alla vita di sempre e applicarsi per realizzare chi siamo, cosa amiamo, cosa cerchiamo e cosa vogliamo. “Quando l’allievo è pronto, il maestro compare”: arriveranno gli amici, arriveranno le persone che crederanno in noi. Nel frattempo, qualche pianto non fa mai male. Mai evitare la sofferenza, e mai perdere di vista la luce. Io piango ancora adesso, muoio di paura ancora adesso, ma questo fa bene, questo mi aiuta ad essere chi sono.

20) Ultima domanda: dai un’ opinione finale sul tuo nuovo libro, spiegando cosa ti ha dato scriverlo, in cosa ti ha cambiato, chi ti ha aiutato e come e se hai prossimi progetti legati all’editoria (eccetto i seguel) e progetti personali che ti va di condividere.

Penso che Absence sia un libro di introspezione oltre che di avventura. Scriverlo mi ha dato il coraggio di fare un salto che temevo da tempo. Mi ha cambiato in maturità, nell’accettare la condivisione di una cosa intima come una storia: nel riuscire a lavorarla, cambiarla, modificarla in base ai consigli e alle critiche, senza mai temere di “perderla”. Absence ha dato un senso all’invisibilità di anni interi.
Riguardo altri progetti, ci sono, ma sono ancora troppo “fumosi” per poterli condividere. Spero di poterlo fare meglio, un giorno, e di poter condividere molto altro ancora. È il mio modo per sentirmi viva… la mia bussola per non dimenticare.

16 pensieri riguardo “Chiara Panzuti – Intervista all’autrice di “Absence”

      1. Facebook xD Comunque ho risolto per il BlogTour e alla fine tutte le persone. Comunque se hai Facebook aggiungimi (ho lo stesso nome di qui – Sara Fabian) che mi piace fare le cose con i blog con cui mi trovo meglio

        Piace a 1 persona

Lascia un commento